Un giretto corto corto, nato proprio per caso; la proposta lanciata a Duccio, un mio compagno di università:
“Davvero non sei mai salito su una moto? Uno di questi giorni ti porto io, andiamo a vedere un bel posto!”Ecco allora che ieri pomeriggio scatta il piano
“Vagabondaggio per i boschi del Bondone”, protagonisti io e Duccio. Alla mia Scramblerina l’ingrato compito di scarrozzare quasi centosettanta chili di carne umana su e giù per le rampe del Bondone: pian piano, ma se la caverà alla grande.
Partiamo quasi alle quattro di pomeriggio, fiondandoci fuori dall’ultima lezione dalla facoltà: l’obiettivo è quello di sfruttare le poche ore di luce e caldo autunnale, e arrivare il prima possibile alla meta. In pochi minuti scivoliamo fuori dalla città e dal traffico, e corriamo veloci lambendo le pendici delle montagne, lungo la Valle dell’Adige, fino ad
Aldeno. Cinque euro di benzina buttati nel serbatoio e si inizia l’arrampicata. Indico a Duccio, più o meno, dove arriveremo: imbocchiamo la provinciale di Garniga, l’alternativa quasi sconosciuta, più stretta ma molto panoramica che porta su alle Viote del Bondone. Tuttavia non è quella la nostra meta: dopo pochi chilometri svoltiamo a sinistra e imbocchiamo la
Val di Cei. La strada si inerpica con poche curve ma accentuata pendenza tra i boschi, mentre a destra fanno capolino tra i rami i paesini di Cimone e frazioni, immersi nella luce dorata del sole pomeridiano. L’atmosfera è magica: l’aria frizzante, i raggi del sole che incendiano le chiome arancioni degli alberi… è tutto perfetto.
In pochi chilometri siamo arrivati: ecco il
lago di Cei, che in questo periodo dell’anno sembra uscito da una fiaba: circondato da larici e faggi infiammati e conifere verde cupo, con qualche casetta sulle rive, il paesaggio che si riflette nell’acqua calmissima, senza nessuna onda…
Parcheggio, e in venti minuti percorriamo il periplo del lago a piedi: fiabesco.
È tempo di andare, ma siamo un po’ infreddoliti e l’unico bar è chiuso: propongo quindi di andare fino a
passo Bordala, distante una decina di minuti in moto, dove so che c’è un albergo. La strada è, se possibile, ancora più bella: percorre prima vere e proprie gallerie naturali di faggi…
… poi si apre in qualche scorcio sulla sottostante Vallagarina immersa nella luce e nella nebbiolina del tramonto…
… infine si snoda, molto stretta, fra i prati ancora verdissimi e i campi dissodati del piccolo altopiano di Bordala.
Magra scoperta: il bar del passo è chiuso.
Poco male, torniamo indietro di qualche chilometro e scendiamo dalla strada tutta tornanti che si fionda giù fino a Villa Lagarina: c’è giusto tempo per una cioccolata calda al bar di un paesino (Pedersano), poi si deve rientrare in fretta perché inizia già ad imbrunire.
E così finisce un giretto corto corto, poco più di sessanta chilometri su strade e in posti che conosco a menadito.
Tuttavia sono contento, perché l’ho condiviso con un amico, ed è nata una nuova intesa: è nutrita dall’emozione forte di vedere la strada che sfila veloce di lato, da tutte le curve percorse ai quaranta all’ora, ma rigorosamente buttando fuori il corpo e il ginocchio, scimmiottando i piloti della Motogippì!
Quanto è adrenalinico il senso di libertà che danno due ruote e un motore, soprattutto se il contesto è maestoso come quello dell’autunno su una strada di montagna…