“Il 12 luglio ci sono Venditti e De Gregori all’Arena di Verona.
Dobbiamo andarci!”
L’invito viene, come al solito, dal mio amico Ale, che già conoscete per i nostri vagabondaggi da ottavo di litro: e io non posso che accettare, accidenti! Quando mai mi ricapiterà di sentire dal vivo due mostri sacri del cantautorato, che tanto mi hanno accompagnato in questi anni? Quante volte ho ascoltato le loro canzoni, quante volte le ho suonate da solo in camera o in compagnia intorno ad un fuoco (e poi dicono che i giovani non hanno più buongusto!)?
Compriamo i biglietti, e subito l’amara delusione: sold out. Ma, come nelle favole a lieto fine, poco dopo Ale mi ritelefona dicendo di aver trovato dei biglietti di persone che hanno rinunciato: in men che non si dica, abbiamo due posti prenotati sulle gradinate dell’Arena!
Il 12 luglio, partenza da
Trento alle 18, con l’afa di queste giornate torride che pian piano sta allentando la morsa; il sole è comunque abbastanza alto e dall’asfalto salgono ancora delle ventate di caldo: imbocchiamo la Statale 12, che come una colonna vertebrale scorre sinuosa in tutta la Valle dell’Adige, costeggiando a tratti il fiume, tagliando in due i paesini, immergendosi nelle campagne. La Statale 12 fa un po’ da mamma a noi che abitiamo da queste parti, ed è quasi sempre punto iniziale e finale dei nostri viaggi, brevi o lunghi che siano: come una mamma è quella che ti saluta, mentre la percorri allontanandoti da casa, e che ti ridà il benvenuto quando torni.
I chilometri vicino a casa li ho percorsi mille volte, li so a memoria, conosco alla perfezione le curve e lascio la moto scorrere, mentre penso proprio a De Gregori, che fra poco ascolterò dal vivo:
Accompagnarti per certi angoli del presente
Che fortunatamente diventeranno curve nella memoria
Quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente
Ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria
Perciò partiamo, partiamo che il tempo è tutto da bere
E non guardiamo in faccia nessuno e nessuno ci guarderà
Beviamo tutto, sentiamo il gusto del fondo del bicchiere
E partiamo, partiamo, non vedi che siamo partiti già?La
Statale 12 è una bella strada, tracciata da mano sapiente disegnando lunghe rette e larghi curvoni; certo nei paesi è rovinata da qualche semaforo, che alla fin fine però è occasione per tirare il fiato e guardarsi intorno.
E così in un’oretta, veleggiando agli ottanta all’ora costanti, accumuliamo un bel po’ di chilometri di campagne e paesi, e mentre il sole scompare dietro le montagne siamo a
Ceraino, dove la val d’Adige muore e si trasforma, poco dopo, in pianura. Ma le montagne sembrano voler salutare chi viaggia verso sud con un’ultima sorpresa, la stretta omonima: la strada larga e curvosa scorre incastrata fra le grandi pareti di roccia e il fiume verde e sinuoso.
Dopodiché l’ultimo tratto sembra già Padana: periferie di stradoni, fabbriche e capannoni. Ci fiondiamo in tangenziale, dato che siamo già quasi in ritardo, e ci ritroviamo nella morsa del traffico verso il centro. Per fortuna i nostri mezzi ci permettono di divincolarci facilmente, e in breve siamo dentro
Verona: troviamo parcheggio proprio a due minuti a piedi da Piazza Bra.
C’è giusto il tempo di una cena frugale a base di tramezzini di supermercato di dubbia qualità, e poi si entra – per la prima volta – in Arena!
Salire le scale ed emergere sulle gradinate già piene di gente è un'emozione unica: nel frattempo, le ultime luci del giorno tingono tutto di rosso, mentre in cielo spunta una luna gigante.
Sulle note di
Bomba o non bomba si apre il concerto: cantandola a squarciagola, un po' mi ritrovo nelle parole che raccontano di un viaggio all'avventura di due amici...
Partirono in due ed erano abbastanza
Un pianoforte, una chitarra e molta fantasia
E fu a Bologna che scoppiò la prima bomba
Fra una festa e una piadina di periferia
E bomba o non bomba noi arriveremo a Roma, malgrado voiSono ore ininterrotte di musica travolgente, mentre cala la notte e l'Arena si accende di migliaia di puntini luminosi, i telefoni di chi immortala il momento. La scaletta è lunghissima ed è piena di capolavori, che sarebbe inutile citare qui: memorabili sono
La leva calcistica, Generale, Nata sotto il segno dei pesci, Unica, Notte prima degli esami, Giulio Cesare, Bufalo Bill, Rimmel e tante, tante altre…
De Gregori è davvero il Principe, e con il suo basco in testa si prende il palco con una classe che a volte sembra quasi altezzosa; i suoi testi hanno picchi poetici difficili da eguagliare, ma lui spesso canta in controtempo, si concede variazioni che faticano un po' a coinvolgere il pubblico.
Venditti invece, che apprezzo meno come paroliere, è un vero animale da palcoscenico, e inanella un successo dietro l'altro facendo cantare tutti i ventimila spettatori: sono canzoni da gridare a squarciagola, che fanno vibrare l'Arena come un corpo solo.
E quando cantano insieme, con le loro differenze si completano: la cover di
Canzone di Dalla è potentissima e dà i brividi quasi come l'originale.
L'ultima esplosione sono le note di
Grazie Roma, che chiude il concerto in standing ovation: è già mezzanotte, e i due decani della canzone hanno dato spettacolo per tre ore!
Fuori dalla bolgia, c'è tempo per un giro veloce per le vie stranamente semideserte del centro. Poi subito alle moto e navigatore impostato su Quinto di Valpantena, dove i miei zii ci danno ospitalità per la notte. Con le orecchie ancora piene di musica, crolliamo a letto.
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Il giorno dopo, a metà mattina siamo già in sella. Io sono un po’ emozionato perché finalmente si sta per avverare il progetto che avevo in mente: il ritorno a Trento non sarà attraverso la via dell’andata, ma faremo una speciale deviazione, che ha un nome importante e quasi magico:
Lessinia. Delle veloci provinciali ci portano in fondo alla
Valpantena, e di lì inizia la salita per le colline: di tutto il viaggetto, è la parte che mi godo di meno, tutto intento a non sbagliare i bivi e, soprattutto, già con la mente al dopo. Attraverso colline verdissime di prati, nonostante la secca estate, intervallate da qualche tratto di bosco, passiamo per
Grezzana, Cerro Veronese, Bosco Chiesanuova. Siamo già sopra i mille metri, l’aria si fa più frizzante e qualche tornantino ci galvanizza; un camion lento e stracolmo di letame ci fa da tappo per qualche curva, ma con grande sollievo riusciamo a superarlo. Incontriamo le prime malghe, poi con dei larghi curvoni la strada arriva al Passo del
Branchetto. Qui lasciamo qualche minuto di sosta ai nostri cavalli meccanici, mentre ci guardiamo intorno: l’altopiano che si apre alla nostra sinistra è una serie infinita di dolci ondulazioni erbose, solcate da qualche sterrata e punteggiate di vacche e malghe. Il cielo che continua a cambiare, coperto di nuvole grigie, conferisce al paesaggio un sapore quasi irlandese.
Poi si riparte dal passo, e qualche centinaio di metri più avanti, a sinistra, ha inizio il vero motivo per cui siamo qui: la mitica
Translessinia, lo sterratone che fa il periplo dell’altopiano con larghe S.
Inizialmente apro io la strada, ma non ci sono grossi problemi: il fondo è ben tenuto e regolare, con qualche dosso e qualche parte ghiaiosa facilmente evitabile; si procede in piedi, in seconda e a trenta all’ora, e anche Ale con la Vespa non fa nessuna difficoltà.
Andiamo piano anche per guardarci intorno, e ogni curvone regala scorci nuovi: prima il rifugio del Monte Tomba, poi un gruppo di vacche che, per nulla infastidite, ci attraversano la strada; ai tratti curvosi si alterna qualche rettilineo, e presto siamo in vista del rifugio
Podestaria. Non ci fermiamo ma, dato che sono le undici passate, decidiamo di proseguire ancora, e in poco tempo siamo a
Malga Lessinia: qui è obbligatoria una breve sosta, per comprare un po’ di formaggio fresco da portare a casa (un sapore di alpeggio davvero genuino!).
Ancora qualche curva di sterrato in discesa e siamo sull’asfalto, dopo più di 15 chilometri di strada bianca!
Alcuni tornantini su una stretta stradina, chiaramente una ex strada militare dai bei muri di contenimento in pietra, ci conducono a
Passo Fittanze. Anche qui non ci fermiamo, ma subito mettiamo le ruote su un’altra strada mitica, la
Sega di Ala. Il nome stesso descrive la descrive alla perfezione: a vederla sulla carta, sembra proprio la lama di una sega, dove ogni dente è un tornante.
E così giù a rotta di collo (ma non troppo, eh!) verso la valle, in un susseguirsi di tornanti ostinato ma mai meccanico. In quello che sembra un battibaleno scendiamo verso il caldo, che con vampate sempre più forti aumenta ad ogni discesa. In poco tempo siamo in savana, e le nostre ruote riagganciano la onnipresente Statale 12.
Nell’afa dell’una di pomeriggio l’asfalto tremola in lontananza e noi, per fortuna, otteniamo un po’ di frescura veleggiando agli ottanta all’ora, come all’andata. Si respira già profumo di casa, e siamo a quel punto del viaggio in cui la stanchezza e il caldo si fanno sì sentire, ma sembrano scomparire all’idea del pranzo che ci aspetta.
All’una e mezza, i nostri varcano il cartello che segna l’inizio del comune di Trento, e poco dopo sono ognuno alla rispettiva casa. Il contachilometri segna 200 tondi tondi: non molti, in effetti, ma ce li siamo goduti tutti, dal primo all’ultimo.
“E bomba su bomba, noi siamo arrivati a Trento…
Insieme a voi”---------------------------------------------------
Spero che questo lungo report di un viaggetto improvvisato vi possa piacere! Scusate la prolissità e le tante foto, ma quando mi prende la mano...